Dalla storia delle gang dei Five Points di Manhattan al “West Side Story” del 1961 e il remake di Steven Spielberg. L’analisi del film ispirato all’opera di Shakespeare “Romeo e Giulietta”.

Fin dal XIX secolo, gli Stati Uniti d’America sono sempre stati flagellati dalle continue battaglie tra le gang di strada, le cui faide avvenivano principalmente per ottenere il controllo di un determinato territorio. Molte sono le città che, nel corso dei decenni, sono state teatro di disordini causati dai continui tafferugli tra le gang di strada; da Los Angeles a Boston a Chicago. Tuttavia, tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900 era New York la città maggiormente colpita dalla piaga della bande. Queste si concentravano soprattutto nel quartiere dei Five Points di Manhattan, un’area compresa tra Broadway e Bowery Street.
Una delle più antiche e famose gang fu quella dei Dead Rabbits. Essi operavano nei Five Points sul finire del XIX secolo e, nel 2002, furono d’ispirazione per il capolavoro di Martin Scorsese “Gangs of New York”.

Ma fu a cavallo tra i due secoli che nella Grande Mela si svolse la più violenta rivalità tra gang. Una faida che culminò nella faida tra i Five Pointers (formata da immigrati italiani e irlandesi) e la banda di ebrei Monk Eastmans. Un antagonismo che durò anni e che terminò solamente dopo l’incarcerazione del leader degli Eastmans e l’assassinio del suo braccio destro.
Le gang dei Five Points furono protagoniste di molte scorribande e risse per strada per più di mezzo secolo. Tanto da ispirare il film diretto da Walter Hill, “I guerrieri della notte” (1979), divenuto un cult nonché un modello per molte altre opere future.
I Warriors di Hill, così come i Greasers di Francis Ford Coppola (“I ragazzi della 56esima strada) e i Nativi di Martin Scorsese (“Gangs of New York), sono senza dubbio tra le gang più famose della storia del cinema, tuttavia, prima ancora che tali pellicole approdassero sul grande schermo, altre due bande, nel 1961, si scontrarono a passi di danza per il controllo del versante ovest di Manhattan. Ossia i Jets, guidati da Riff, e i portoricani degli Sharks, al comando di Bernardo, protagonisti di “West Side Story”.

Quest’ultimo si differenzia dai film sopra citati non solo per lo stile e per il genere (si tratta di un musical), ma soprattutto per la trama.
Liberamente ispirato all’opera teatrale di William Shakespeare “Romeo e Giulietta”, “West Side Story” racconta, oltre alla lotta tra bande, l’amore impossibile tra Tony, co-fondatore dei Jets e migliore amico di Riff, e Maria, sorella minore di Bernardo.
Nato come spettacolo teatrale nel 1957, “West Side Story” venne poi adattato per il il grande schermo quattro anni più tardi da Jerome Robbins e Robert Wise che, anche se apportando qualche piccola ma significativa modifica, decisero di mantenere lo stile del dramma, utilizzando i testi e la musiche composte da Leonard Bernstein; quelli stessi testi e sonorità che rimasero impressi nella storia del cinema.

Come scritto prima, “West Side Story” ha chiari riferimenti all’opera shakespeariana “Romeo e Giulietta”, anche se la storia si svolge in un ambiente più urbanizzato rispetto a quello descritto dal poeta inglese.
Nell’opera shakespeariana vi erano i Montecchi e i Capuleti, due famiglie legate da una profonda rivalità. Nella pellicola di Robbins e Wise invece, a scontrarsi per il dominio del West Side di Manhattan, saranno le gang dei Jets e degli Sharks. E proprio mentre le due bande si preparano allo scontro finale, tra Tony e Maria (rispettivamente Richard Beymer e Natalie Wood) nascerà un amore a prima vista che alimenterà ancor di più l’astio tra i Jets e gli Shark.
Dieci Oscar e sessant’anni dopo, Steven Spielberg ha avuto il coraggio di riproporre questo classico intramontabile.
Seppur aggiungendo il suo tocco personale, Spielberg ha osato, e a nostro avviso, ha osato bene, se non benissimo!

Era necessario riproporre “West Side Story”? No, non lo era. Ma Steven Spielberg lo ha fatto. E ha deciso di farlo nel migliore dei modi, mantenendo intatta la trama principale, riuscendo però ad adattarla alle esigenze stilistiche di un cinema contemporaneo, distaccandosi dell’estetica fin troppo teatrale messa in mostra da Robbins e Wise.
Pur cambiando alcune ambientazioni, rendendole più spettacolari, il regista di “Jurassic Park” è riuscito a donare un nuovo tono ai personaggi, facendoli maggiormente interagire sia tra di loro che con la città di New York.
Cosa importante e niente affatto trascurabile. Spielberg ha aggiunto qualche scena per far sì che lo spettatore entrasse maggiormente in empatia con i personaggi sia primari che secondari, dettagli che hanno aggiunto un valore rilevante alla caratterizzazione di ogni singolo interprete. Il regista infatti, grazie a delle semplici ma efficaci finezze, è riuscito a trasformare Bernardo (David Alvarez) da semplice capobanda degli Sharks ad immigrato portoricano in cerca del suo posto nel mondo, che sogna una carriera da pugile professionista.

Oppure Tony (Ansel Elgort) che, finito il suo periodo di detenzione in carcere, trascorre le sue giornate lavorando nella bottega di Valentina (Rita Moreno, che nel ‘61 interpretava la fidanzata di Bernardo, Anita), in cerca di quella redenzione di cui sente un forte bisogno. E così “America”, e quel famoso botta e risposta tra Anita e Bernardo, assumono nuova linfa vitale, non più come coreografia sul tetto di un palazzo ma come un’esibizione colma di colori e di un’energia tale da coinvolgere tutto il quartiere portoricano di New York.
Inoltre al regista va il grande merito di aver fatto un ottimo uso di quel politically correct troppo spesso abusato.

In particolare nella scena della tentata violenza da parte dei Jets nei confronti di Anita (Ariana DeBose). Nella versione del ’61 infatti, il personaggio di Anybodys, la ragazza che si veste da uomo, resta inerme di fronte al tentato abuso. Spielberg è riuscito a dare nuovo valore a tale scena, non solo donando una coscienza a Anybodyes, ma creando una solidarietà tra donne, pur consapevoli di appartenere a due bande diverse.
Naturalmente, anche se Spielberg con il suo “West Side Story” è riuscito a rendere un giusto omaggio al classico del ’61, la pellicola ha qualche piccolo difetto. Il finale girato da Robbins e Wise, per esempio, grazie anche all’estrema profondità espressa da Natalie Wood, aveva il pregio di sottolineare quel messaggio di unione, tanto ambita da Maria e Tony, che sancirà la definitiva tregua tra i Jets e gli Sharks.

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