Premio Oscar come Miglior film in lingua straniera all’ultimo lavoro di Thomas Vinterberg: “Un altro giro”.
Il cinema europeo è senza dubbio una delle risorse più preziose dell’intera industria cinematografica. Poiché è proprio dal continente nostrano che provengono alcuni dei più influenti registi contemporanei, capaci di offrire uno stile registico unico ed originale, che ben si differenzia dal cinema più popolare come quello americano.
Nel corso degli ultimissimi anni del ventesimo secolo iniziarono a manifestarsi alcuni significativi cambiamenti nel cinema europeo. In particolare quello danese, in seguito alla nascita dell’allora inedito “Dogma 95”, una corrente cinematografica nata con lo scopo di valorizzare quel tipo di cinema considerato puro ed autentico, e dunque privo di tecnologie ed effetti speciali che cominciarono ad essere ampiamente adoperati nella cinematografia degli anni ‘90.
“Dogma 95” presenta alcune regole da dover rispettare per fare in modo che una pellicola possa rispecchiare l’estetica e lo stile di questa corrente cinematografica. Direttive che vennero dettate dai maestri e fondatori del genere: Lars von Trier e Thomas Vinterberg.
Grazie alle loro opere, essi sono tutt’ora considerati come due dei massimi esponenti del cinema danese, i quali vantano una carriera registica fiorente.
La conferma l’abbiamo avuta proprio nella scorsa cerimonia degli oscar, durante la quale abbiamo assistito alla vittoria come miglior film straniero dell’ultimo lavoro di Thomas Vinterberg: “Un altro giro”.
Dopo aver raccontato la progressiva discesa nel baratro della disperazione con uno dei suoi più grandi successi, “Il sospetto”, Thomas Vinterberg torna dietro la macchina da presa per narrare un racconto che celebra i piaceri della vita, anche quelli apparentemente più trascurabili che invece il regista non mette da parte, ma al contrario eleva ad elementi essenziali per poter vivere serenamente con sé stessi e con la propria famiglia, in modo tale da poter apprezzare, e al tempo stesso assaporare, la vita, come fosse un bicchiere ricolmo dello spumante più prelibato.

“Un altro giro” è un lungometraggio che stupisce sotto molti punti di vista, in particolare nella scrittura dei quattro protagonisti: Martin (Mads Mikkelsen); Tommy (Thomas Bo Larsen); Peter (Lars Ranthe); e Nikolaj (Magnus Millang); quattro professori liceali in piena crisi di mezza età.
Non sentendosi più giovani come un tempo iniziano a dubitare di loro stessi, non riuscendo a trovare quello stimolo che li possa incentivare a vivere al meglio, distaccandosi dalla monotonia della quotidianità a cui sono relegati.
Nel corso di una tranquilla cena tra amici, i quattro decidono di focalizzarsi su una intrigante teoria di un filosofo norvegese. Secondo tale teoria, gli esseri umani nascono con un tasso alcolemico troppo basso, e questo penalizzerebbe le nostre abituali prestazioni fisiche e psichiche.

Presi da un’irrefrenabile curiosità decidono dunque di sperimentare su sé stessi l’idea di mantenere un costante livello di alcol nel sangue pari allo 0.05%. La loro speranza è quella di poter finalmente provare qualcosa di insolito, e dunque capace di dare una svolta significativa alla propria esistenza.
I primi benefici non tarderanno ad arrivare, mostrando l’euforia palesata da uomini che rivivono momenti e sensazioni provati in giovane età e che fungono da esperienze rivitalizzanti e rivoluzionarie per le vite dei protagonisti.
Questo continuo stato di ebrezza diventerà però un’arma a doppio taglio per alcuni personaggi, che finiranno per abusare del piacere trasmesso dall’alcol, che poco prima era oggetto di beatitudine e gioia di vivere, e che ora diventa responsabile di abbattimento e disperazione.
L’ultima opera di Thomas Vinterberg è un lungometraggio grandioso, diretto in maniera impeccabile ed interpretato da attori in stato di grazia. Su tutti spicca la sublime interpretazione di Mads Mikkelsen, che si dimostra ancora una volta in piena sintonia con il regista danese.
“Un altro giro” non è solo una delle migliori rappresentazioni degli effetti dell’alcol sull’uomo, ma è al tempo stesso una sincera e potente celebrazione della vita, che trova la sua massima manifestazione nell’ormai iconica scena finale, una danza improvvisata le cui movenze di Martin sono dettate dal solo desiderio di lasciarsi andare, di vivere un momento di totale spensieratezza, lasciandosi alle spalle preoccupazioni ed insicurezze.

Vinterberg ci invoglia dunque a godere dei piaceri della vita, ad affrontarne le difficoltà e a gustarla in ogni suo aspetto, come un bicchiere di vino che alterna varie sensazioni, da quella più amara e deludente a quella più dolce ed indimenticabile.
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Nato a Torino, classe 1999. Sono un ragazzo dalle tante passioni, tra cui musica, cucina e soprattutto cinema. L’amore per la settima arte mi accompagna sin dall’infanzia, quando iniziavo ad approcciarmi alle bellezze che quest’arte è in grado di offrire ai propri spettatori ed attualmente il mio amore per la cinematografia mi ha permesso di interessarmi alla scrittura di recensioni, la quale mi permette di esprimere al meglio il mio lato cinefilo che coltivo lasciandomi affascinare dall’efferatezza di Martin Scorsese, dall’eleganza di Paul Thomas Anderson, dalla determinazione di Clint Eastwood e dalla perfezione di Stanley Kubrick.