“Strappare lungo i bordi” è un gioiello dell’animazione targato Netflix, scritto, diretto e doppiato da Zerocalcare. Una storia tanto divertente quanto profonda e commovente.

Tradizionalmente, la cultura occidentale prevede che le produzioni animate, salvo qualche rara eccezione, risultino infine adatte a tutta la famiglia. Spesso infatti, i cartoni più amati da intere generazioni di spettatori, altro non sono che la trasposizione edulcorata di fiabe, racconti o fumetti, la cui inevitabile conclusione altro non è che il classico “e vissero felici e contenti”, al contrario delle versioni originali i cui finali sono macabri e tristi.
Basti pensare agli adattamenti disneyani di alcune favole classiche come “Cenerentola”, “La bella addormentata nel bosco” o “La sirenetta”, o ad alcune serie TV animate alleggerite, o censurate se vogliamo, come “Diabolik”. Ciò accade principalmente in virtù del fatto che la maggior parte delle produzioni animate occidentali siano prevalentemente destinate ai più piccoli. Tuttavia, tali rielaborazioni, sia in ambito cinematografico che televisivo, per quanto funzionali, rischiano di snaturare la storia originale facendole perdere il proprio stile autoriale.

Ma, come abbiamo scritto in precedenza, esistono delle rare eccezioni. Eccezioni che, nonostante siano un effettivo adattamento di un’opera letteraria o fumettistica, riescono a mantenere lo spirito delle storie narrate tra le pagine dei libri e degli albi a fumetti. Ed è forse questa la più grande qualità di “Strappare lungo i bordi”, la serie TV animata ideata da Zerocalcare, serie che ha inoltre diretto e doppiato.
Sebbene non sia in senso figurato la trasposizione di una singola storia, “Strappare lungo i bordi” riflette alla perfezione l’estetica, tanto divertente quanto riflessiva, del fumettista di Rebibbia.

Come suo solito, Zerocalcare ci presenta una storia colma di profonde riflessioni sul senso della vita; intervallata da situazioni che, nonostante risultino alquanto paradossali, evidenziano una realtà tangibile per ogni lettore o spettatore. Al pari de “La profezia dell’Armadillo”, nel tentativo di evadere la mente da un tragico avvenimento, il protagonista ci fa immergere in una serie di circostanze, non necessariamente collegate tra loro, narrate con quella malinconica ironia che lo ha sempre contraddistinto.
“Strappare lungo i bordi” è certamente un’opera fortemente empatica.
Attraverso una serie di metafore tanto semplici quanto efficaci, riesce a mettere in scena tutte le paranoie, le incertezze e i dubbi esistenziali su cui ogni essere umano si è soffermato almeno una volta nella vita. Senza rinunciare a quel fine umorismo che da sempre ha caratterizzato i suoi lavori fumettistici, Zerocalcare è riuscito a creare un prodotto animato in grado di rispecchiare lo stile che abbiamo già avuto modo di apprezzare nelle sue graphic novel.

In conclusione, nel corso degli anni romano di adozione, ci ha abituati a storie in cui la vita viene raccontata utilizzando delle raffinate allegorie umoristiche. E con la sua prima serie animata non è stato da meno. Infatti il titolo stesso della serie, “Strappare lungo i bordi”, rappresenta quindi la perfetta metafora di una vita imperfetta. Una vita in cui a tutti noi, perdenti, paranoici, impauriti, esseri umani, basterebbe aprire gli occhi e scoprire che non siamo altro che un filo d’erba in un prato, semplici individui che non portano il peso del mondo sulle spalle, a cui basterebbe seguire la linea tratteggiata fino al compiersi del nostro destino ma che, inevitabilmente, escono da quella linea che rappresenta la nostra esistenza, creando un’immagine tanto imperfetta quanto meravigliosa.

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Cresciuto a pane e cinema, scrive i suoi articoli scegliendo parole a caso lanciando una moneta. Il suo più grande sogno è quello di gustarsi un hamburger al Big Kahuna Burger, farsi tagliare la barba da Sweeney Todd per poi godersi un tranquillo soggiorno all’Overlook Hotel. Gli piace fare a pugni, sfondare le vetrate, mangiare lampadine e sfidare i pescecani, e adora andare a spasso con Daisy guidando il taxi di Travis Bickle e concludere la giornata dicendo “sono un tantino stanco, credo che tornerò a casa”.