L’influenzabilità dell’animo umano e il bisogno di sopravvivenza. Questo è “Squid Game”, la serie TV coreana divenuta un fenomeno mondiale. Analizziamo le tematiche.
Che valore ha una vita? Che differenza c’è tra vivere e sopravvivere?
Nel corso degli anni molti autori hanno tentanto di dare una risposta a tali quesiti, proponendo al pubblico una serie di opere i cui protagonisti, loro malgrado, si trovavano costretti ad affrontare situazioni estreme: uccidi o verrai ucciso.
Nel 1999, per esempio, lo scrittore giapponese Koushum Takami pubblicò “Battle Royale” (o “Batoru Rowaiaru” in lingua originale), che in breve tempo divenne uno dei romanzi più venduti della storia del paese nipponico.
“Battle Royale” è ambientato nella Repubblica della Grande Asia Orientale, una versione totalitaria del Giappone, dove ogni anno una classe di quindicenni viene selezionata a caso per partecipare a quello che il Ministero delle Forze di Difesa chiama “Il Programma”; ossia un sadico gioco in cui i ragazzi selezionati sono obbligati ad uccidersi a vicenda fin quando non ne rimarrà solamente uno. Nel 1997 toccherà alla Terza B della scuola media di Shiroiwa sottomettersi alle regole dello stato e prendere parte al Programma. Messi l’uno contro l’altro, i 42 studenti faranno di tutto pur di sopravvivere.

Quasi dieci anni più tardi, nel 2008, la scrittrice americana Suzanne Collins scrisse “Hunger Games”, la celebre saga fantascientifica con protagonista Katniss Everdeen.
In un Nord America post apocalittico, diviso in tredici distretti, a seguito di un tentativo di rivolta il regime totalitario di Capitol City, per punire i rivoltosi e per tenere la massa sotto controllo, decide di organizzare gli Hunger Games; ossia un gioco mortale trasmesso in diretta tv a cui ogni anno partecipano un ragazzo e un ragazza per ogni distretto. Le regole sono molto simili a quella di “Battle Royale”. I 24 partecipanti dovranno scontrarsi e uccidersi a vicenda fino a quando l’unico sopravvissuto sarà proclamato vincitore. Come nel romanzo di Takami, si formeranno alleanze e saranno architettati tradimenti e colpi bassi, e ognuno sarà disposto a tutto pur di sopravvivere.

Infine, nel 2011, fu il fumettista giapponese Muneyuki Kaneshiro a porre l’essere umano al centro di un macabro gioco, nel manga che ispirò l’omonimo film di Takashi Miike, “As the Gods Will”.
In questo caso a giocare con la vita e con la morte è un sadico e misterioso Dio. Questo, assumendo le sembianze di una bambola daruma, obbligherà tutti gli alunni delle scuole superiori a partecipare ad una serie di prove mortali; ovvero semplici giochi da bambini trasformati in sfide letali. Ma a differenza di “Battle Royale” e “Hunger Games”, questa volta i protagonisti dovranno lottare, tutti insieme o singolarmente, contro un nemico comune.
Seppur in maniera diversa, con le loro storie, tali autori hanno fornito una risposta alla domanda “cosa saresti disposto a fare pur di sopravvivere?”, sottolineando il fatto che ogni essere umano (o quanto meno la maggior parte) messo alle strette, in una situazione in cui la propria vita è in pericolo, sarebbe disposto a tutto pur di non perire. Allo stesso tempo, appare abbastanza evidente che dietro ad ogni gioco mortale si nasconda una mente tanto sadica quanto malata. Difatti i protagonisti delle storie di Takami, della Collins e di Kaneshiro saranno costretti, contro la loro volontà, a mettere in gioco le proprie vite solo per soddisfare la smania di supremazia di un’entità convinta di avere il diritto di poter giocare a proprio piacimento con la vita umana.

Ma l’essere umano d’altronde è facilmente influenzabile, e come un burattino compie i gesti imposti da chi lo manovra.
In ogni opera difatti ci sono degli esempi di tale influenza. Nella saga di “Hunger Games”, nei primi due libri esiste un gruppo di partecipanti chiamati “I Favoriti”, ossia i ragazzi provenienti dai Distretti 1 e 2 (ovviamente i più abbienti dello stato) che si allenano tutto l’anno per padroneggiare, e quindi uccidere gli altri giocatori, durante lo svolgimento del gioco. Una cosa molto simile succede anche in “Battle Royale“. Un gruppo ristretto di personaggi decide di ribellarsi al “Programma”, tentando di portare più persone possibile in salvo, ma la maggior parte degli alunni (uno in particolare) si farà corrompere dalla brama di uccidere e, senza provare alcun rimorso, inizierà a sterminare coloro che fino al giorno prima erano i suoi compagni di classe, piegandosi al volere del Governo della Repubblica della Grande Asia Orientale.
In una situazione analoga si ritroveranno i protagonisti di “Squid Game”.
Nella serie coreana di Netflix infatti, 456 individui saranno condotti su un’isola ignota al resto del mondo, per partecipare ad una serie di prove mortali molto particolari: sono tutti giochi per bambini. Un misterioso burattinaio; che per la maggior parte del tempo resterà celato nell’ombra; muoverà i fili dei partecipanti facendo sì che la parte più oscura di ognuno di loro, e quindi dell’essere umano, esca allo scoperto; influenzando lo svolgimento dei giochi.

La maggior parte dei partecipanti, in un modo o nell’altro, subirà l’ascendente del burattinaio. Persino il protagonista, Seong Gi–hun (giocatore 456), uno scommettitore patologico e indebitato che tuttavia sembra possedere un forte senso di lealtà, sarà costretto suo malgrado a piegarsi alle regole del gioco. Difatti, pur di sopravvivere, Gi–hun approfitterà della debolezza del suo avversario. Anche se un tale comportamento farà emergere in lui un immenso senso di colpa e di rimorso. Il modo in cui sfrutterà la demenza senile del vecchio Oh Il–nam (giocatore 001) per vincere al gioco delle biglie, e quindi condannare a morte l’anziano con il quale aveva stretto un ottimo rapporto, lo perseguiterà anche al termine dei giochi.
Gi–hun vivrà con il rimorso per le azioni commesse durante la permanenza sull’isola. Rimorso che sarà attenuato dalla scoperta che in realtà Oh Il–nam, sebbene in condizioni piuttosto critiche, è ancora vivo ed è lui il misterioso burattinaio responsabile di aver organizzato gli Squid Game. Tuttavia, sebbene sia costretto a letto attaccato ad un respiratore, Il–nam dimostrerà di avere ancora una forte influenza su Gi–hun quando lo inviterà a giocare nuovamente; scommettendo questa volta sulla vita di un uomo morente, promettendo in cambio di rispondere a tutti i suoi interrogativi.

Approfittando della brama di ottenere delle risposte di Gi–hun, Il–nam gli concederà di nuovo il potere di decidere il destino di un uomo innocente.
Quindi, effettivamente, cosa è cambiato in lui? Il desiderio di scoprire la verità è veramente più importante della possibilità di salvare la vita a un uomo? Quanto conta una vita per l’essere umano? È più importante sopravvivere o vincere del vile denaro?
Durante lo svolgimento degli Squid Game, l’influenza degli organizzatori ha sicuramente avuto effetti diversi su ogni partecipante. Nonostante inizialmente fossero tutti intenzionati a partecipare per aggiudicarsi il cospicuo premio in denaro, alcuni tra i personaggi più sensibili (come Gi–hun appunto) si dimostreranno più interessati alla propria sopravvivenza che alla ricompensa. E forse è proprio per questo suo lato “umano” che Il–nam, durante il gioco delle biglie, deciderà di “sacrificarsi” per permettere a Gi–hun di proseguire.
Come scritto prima sarà l’organizzatore a influenzare le menti dei giocatori, facendo emergere il lato oscuro di alcuni partecipanti agli Squid Game.
Due esempi perfetti sono Cho Sang–woo, il genio proveniente dallo stesso quartiere di Gi–hun; e Jang Deok–su, un delinquente ricercato dalla mafia filippina per ripagare molti debiti di gioco. Entrambi tenteranno di arrivare al termine degli Squid Game, non tanto per poter sopravvivere e riabbracciare i loro cari, ma soprattutto per vincere la grossa somma messa in palio da Il–nam e dai suoi collaboratori. E, a differenza di Gi–hun, nessuno dei due si farà troppi scrupoli ad uccidere gli altri giocatori e i propri alleati. Sang–woo farà affidamento sulla sua grande intelligenza e sulla sua capacità di persuasione per sopraffare i suoi avversari; basti pensare al modo in cui abbindolerà il povero Alì durante il gioco delle biglie.

Ben diversa è la tattica adottata da Deok–su. Essendo un individuo tanto violento quanto infido, baserà la sua strategia interamente sulla semplice forza fisica e brutalità. Difatti, quando capirà che uccidersi a vicenda non è contro le regole, agirà proprio come ci si può aspettare da un delinquente del suo calibro. Durante la notte, assieme al suo gruppo di mercenari, scatenerà una rissa nel dormitorio che causerà la morte di decine di pretendenti al premio finale.
Ma perché trasformare dei semplici giochi per bambini in una serie di sfide mortali?
Anche se la risposta che viene data da Il–nam non soddisfa assolutamente le nostre aspettative, è palese che il suo scopo, oltre a quello di scommettere e di giocare con la vita delle persone, è quello di dimostrare che ogni essere umano, con la giusta motivazione, può essere capace di tutto. Ma probabilmente esiste ancora quel 1% al mondo che è disposto a mettere da parte i propri interessi per aiutare il prossimo; come abbiamo potuto constatare nella scena dell’ultima puntata in cui due agenti della polizia vengono scortati da un passante per dare soccorso ad un senzatetto proprio nel momento in cui sembrava che nessuno si sarebbe preoccupato del destino di quel poveruomo.
C’è ancora speranza per l’umanità oppure quel 1% rimarrà per sempre un caso isolato?
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Siamo AlexMadoka (Alessia) e il Signor Nessuno (Andrea), fondatori di Elementocreativo.it, due ragazzi convinti che la creatività sia il bene supremo della vita. Nostalgici per natura, apparteniamo ai favolosi anni ’80, epoca di grandi film e successi musicali. Viviamo di cinema, musica e letteratura, in pratica ci nutriamo di tutto quello che si può considerare arte e mistero… sognando un giorno di poter approdare sull’Isola che non c’è in groppa a Falcor il Fortunadrago.