Creato da Isabella di Leo, “Si può fare” non è solo un fumetto. È la storia della grande amicizia tra Mel Brooks e Gene Wilder.
Tutto ebbe inizio nel 1932, quando, un giovanissimo Melvin Kaminsky, rimase scioccato, o meglio terrorizzato, da quella creatura che il dottor Victor Frankenstein resuscitò durante la visione del classico in bianco e nero diretto da James Whale nel 1931. Melvin uscì dal cinema sconvolto. Era talmente impressionato che, quando tornò a casa, aveva il terrore che la creatura del dottor Frankenstein avrebbe scavalcato la finestra della sua camera e che lo avrebbe mangiato in un sol boccone!

Circa quarant’anni dopo, l’ironia del destino volle che Melvin Kaminsky, in arte Mel Brooks, e il suo amico Gene Wilder, si trovarono a parlare della folle ispirazione di Gene di scrivere un film sul pronipote del Barone Frankenstein…
Ma sebbene l’allora piccolo Melvin avrebbe volentieri maledetto l’ispirazione che fu di Mary Shelley nello scrivere “Frankenstein o il moderno Prometeo” nel lontano diciannovesimo secolo, che funse solo in parte da ispirazione a James Whale per dirigere il film che, nel corso dei decenni è divenuto un classico del cinema, l’emancipato Mel Brooks avrebbe invece eretto una statua a quella santa donna che, inconsapevolmente, decenni dopo gli avrebbe cambiato la vita.

Si perché Mel Brooks, come d’altronde ci spiega egregiamente Isabella di Leo attraverso le pagine del suo fumetto “Si può fare”, pubblicato dalla casa editrice Becco Giallo, prima di diventare il regista apprezzato che conosciamo oggi, ha dovuto faticare non poco, prendendosi svariate porte in faccia.
“Si può fare” è quindi la storia di Mel Brooks, un simpatico ebreo di Brooklyn felicemente sposato con la seconda moglie e collega Anne Bancroft, ma in continua crisi lavorativa (ma non creativa) ed economica, e di quell’incontro (1963) con un allora sconosciuto Gene Wilder, un attore di teatro squattrinato, alla continua ricerca di un ruolo adatto per elevare la propria carriera e cercare di arrivare a fine mese. I due, giunti in un momento delicato delle proprie carriere, decidono quindi di unire le proprie forze e di creare un’opera mai vista prima. Una pellicola divertente e originale. Un vero e proprio omaggio a quei classici in bianco e nero che tanto li avevano influenzati fin da piccoli.

Sfidando ogni logica predisposta dalla coerenza del presente, Gene e Mel, caparbi nei loro intenti, riuscirono non solo ad ottenere il budget giusto per la realizzazione di “Young Frankenstein”, ma a formare una squadra vincente e affiatata.

Attraverso colori brillanti e piacevoli flashback che accompagnano il lettore a ritroso nel tempo, scopriamo, grazie alle ricerche effettuate da Isabella Di Leo, e a un pizzico di “sensibilità”, come la stessa autrice ci tiene a sottolineare nella prefazione “Come lo feci”, “Si può fare” è un vero e proprio viaggio attraverso un’amicizia che si è pian piano consolidata nel corso degli anni. Siamo quindi testimoni del passato di Gene Wilder e le sue difficoltà di affermarsi nel mondo dello spettacolo. Il suo primo matrimonio con Mary Joan Schutz (la Jo del fumetto) e il descrivere l’immane difficoltà nel distaccarsi da un progetto che, in un periodo difficile della sua vita, gli donava una vera e propria felicità. Ma non solo.
Isabella si concentra sulla vita che fu del giovane Melvin Kaminsky ancor prima di diventare Mr. Mel Brooks. L’autrice si concentra sui drammi interiori del regista tra rabbia e insicurezze, dando vita ad un personaggio memorabile, divertente e pungente, che tra i vari modi di dire yiddish e le battutine sulla virilità di Gene Wilder si rivela essere la vera anima del fumetto.

Non mancano piccoli momenti in bianco e nero che richiamano le scene di “Young Frankenstein” tra un ciak e l’altro del regista, come l’indimenticabile prova di recitazione di Gene Wilder nelle vesti di Frederick Frankenstein, nel tentativo di risvegliare la creatura dal sonno eterno.



Il character design dell’autrice rimane immediatamente impresso e davvero inconfondibile.
Isabella delinea uno stile personale e mai banale, illustrando egregiamente ogni personaggio distintamente dall’altro, sia per carattere (soprattutto Gene e Mel) che per mimica. Anche se, se si vuole formulare una piccola critica in merito, a parte Gene, il resto degli attori che hanno partecipato alla realizzazione di “Young Frankenstein”, appaiono solamente come mere comparse. E il poco spazio dedicatogli funge solo come espediente narrativo alla storia principale.
La Graphic Novel, nelle sue 272 pagine, si dimostra quindi una più che piacevole lettura. Una lettura impreziosita non solo dalle basi narrative e audiovisive dell’autrice, ma anche da una piccola playlist (ogni capitolo è anticipato da una canzone) che richiama le atmosfere anni ’70 del periodo per una più piacevole lettura, ricca di aneddoti interessanti non solo sulla vita privata dei suoi protagonisti, ma sul dietro le quinte di uno dei film più ricordati e celebrati di sempre, capace di essere “rievocata” più volte come la commedia più divertente di sempre. E in questo Isabella ci riesce molto bene. Quindi non solo “Si può fare” è un piacevole viaggio nel tempo attraverso la memoria di due tra le menti più geniali del cinema e della televisione, ma è un delizioso dietro le quinte sul set più affiatato e divertente della storia del cinema.
Di seguito, l’edizione pubblicata dalla casa editrice Becco Giallo.
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Penso che la Creatività sia il bene supremo della vita. Nata e cresciuta a Vhs e “Ritorno al futuro”, possiedo un’anima old style! Amo star in solitudine e ascoltare la musica che più mi si addice. Amo il Blues, il Rock’n Roll e le voci di Billie Holiday, Etta James, e Janis Joplin. Adoro il cinema classico dell’età d’oro di Hollywood, gli anni ’80, Battisti e i volti su cui so cogliere ogni emozione. Vivo di ricordi. Costantemente sull’isola che non c’è, non seguo le mode, seguo me stessa.