“Non siamo più vivi” è la nuova serie horror coreana che ha conquistato il mondo. L’ennesimo prodotto che conferma la qualità delle produzioni asiatiche.

Dalla critica sociale del maestro George A. Romero (“La notte dei morti viventi”) alla metafora dello schiavismo di Jaques Tourneu (“Ho camminato con uno Zombie”). Da tempo immemore gli Zombie sono stati soggetti di rappresentazioni cinematografiche atte a denunciare un particolare comportamento della società. E nel corso dei decenni tematiche sempre più attuali come il razzismo e l’emarginazione, sono state allegoricamente affrontate attraverso la figura del morto–vivente (o non–morto).
Da tale principio è nata “Non siamo più vivi”. Una serie TV di stampo coreano che si avvale abilmente della figura dello Zombie per affrontare uno degli argomenti più delicati e scottanti della società moderna: il bullismo.

Utilizzando il più classico degli espedienti, ossia un virus che rapidamente si diffonde nel liceo di una piccola cittadina coreana, costringendo gli studenti a lottare per la propria vita, la serie targata Netflix, metterà sotto processo non solo il bullismo ma anche il cinismo e l’indifferenza di una società propensa ad ignorare chi ha bisogno di sostegno. E così, in un clima di terrore, in un’atmosfera che ricorda “Battle Royale”, il celebre romanzo Koushun Takami, già fonte ispiratrice di “Squid Game”, la trama di “Non siamo più vivi” si svilupperà in maniera tanto adrenalinica quanto profonda.
Il bullismo (e ci tengo particolarmente a sottolinearlo) è un atto di vigliaccheria, un’immonda infamia, un virus che dall’interno corrode tutto ciò che tocca, approfittando dell’insicurezza delle anime fragili, incapaci di reagire (come dimostra la sequenza iniziale della serie TV) che coinvolge, oltre al sistema scolastico, l’intera società. E del resto è risaputo, a volte per sconfiggere un virus serve un virus ancora più potente e aggressivo. Così, tramite un esperimento che cita chiaramente il famoso Paradosso del gatto di Schrodinger, il professor Byeong–chan tenterà di creare un siero che possa finalmente debellare da questo mondo il cancro del bullismo.
Questo sarà l’inizio della fine…

Il tutto viene affrontato attraverso una fine espressione che riesce a cogliere l’essenza del problema senza però radicalizzare troppo il fulcro della narrazione e ridurre il tutto ad una mera denuncia contro il bullismo. Come scritto in precedenza infatti, non è solamente la violenza tra studenti ad essere messa sotto esame. La serie punta il dito contro l’impassibilità degli adulti, che preferiscono ignorare il problema piuttosto che affrontarlo.
Agli autori va il grande merito di essere riusciti a plasmare e adattare al loro stile il popolare webtoon (fumetto online) “Now at Our School”. Il risultato è un prodotto che non annoia, anche se a volte cade nella ripetitività, e, soprattutto, che non risulta mai scontato. Difatti, uno dei maggiori punti di forza di “Non siamo più vivi” è proprio l’imprevidibilità del destino cui andranno incontro i nostri protagonisti. A differenza della già citata “Squid Game”, in cui appariva piuttosto ovvio chi sarebbe stato il vincitore del sadico gioco messo in piedi da Il–nam, il vero protagonista della serie è il gruppo di studenti che si trova a combattere contro l’esercito di infetti. Per tal motivo è pressoché impossibile prevedere chi riuscirà a scamparla e chi dovrà soccombere sotto le fauci degli Zombie.

Persino il comparto registico, che riesce ad alternare dei piani sequenza degni dei miglior film horror (o splatter se vogliamo) a momenti di quiete e riflessione, riesce a trasmettere la giusta tensione voluta dall’opera senza però lasciare in secondo piano l’aspetto psicologico dei personaggi e il messaggio querelante voluto dalla serie TV.
In conclusione, “Non siamo più vivi” è l’ennesima conferma della qualità dei prodotti orientali che, ormai dal successo commerciale di “Parasite”, riesce a coinvolgere sempre più pubblico, senza però perdere il proprio stampo autoriale che contraddistingue le produzione asiatiche.

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Cresciuto a pane e cinema, scrive i suoi articoli scegliendo parole a caso lanciando una moneta. Il suo più grande sogno è quello di gustarsi un hamburger al Big Kahuna Burger, farsi tagliare la barba da Sweeney Todd per poi godersi un tranquillo soggiorno all’Overlook Hotel. Gli piace fare a pugni, sfondare le vetrate, mangiare lampadine e sfidare i pescecani, e adora andare a spasso con Daisy guidando il taxi di Travis Bickle e concludere la giornata dicendo “sono un tantino stanco, credo che tornerò a casa”.