Grazie a “Modern Times”, Chaplin riuscì a donare un degno finale alla storia di Charlot, il personaggio che lo aveva accompagnato per più di vent’anni.

Con l’uscita di “The Jazz Singer” nel 1927, il cinema iniziò ufficialmente ad affrontare il passaggio dal muto al parlato. Le case di produzione, che durante l’età d’Oro di Hollywood possedevano un potere decisionale assoluto, si resero conto che molti attori e attrici avevano un tono di voce del tutto inadeguato per fronteggiare un simile cambiamento. Motivo per cui alcune delle più grandi star del cinema muto rimasero senza lavoro.

In questo clima di cambiamento, Charlie Chaplin era riuscito ad accumulare abbastanza capitale da poter produrre in autonomia le proprie pellicole e, grazie alla creazione dei Chaplin Studios, aveva il totale controllo sulle sue produzioni. Ciononostante ben presto si rese conto che anche lui avrebbe dovuto adattarsi al progresso e, di conseguenza, dopo quasi venticinque anni di carriera, dire addio al suo alter ego, Charlot.
Difatti, Chaplin era consapevole che non avrebbe mai potuto introdurre un personaggio come Charlot nel cinema parlato, tuttavia decise di donargli il giusto epilogo.
“Modern Times” infatti, è uno dei film più importanti della filmografia chapliniana sotto molti punti di vista. Come abbiamo ampiamente spiegato nell’articolo “Tempi Moderni – La Grande Depressione secondo Chaplin”, la pellicola rappresenta un critica al sistema capitalistico americano dell’epoca. Inoltre, per la prima volta, grazie alla famosa scena della “Titina”, Chaplin fece sentire al mondo la voce di Charlot.
Ma uno degli aspetti fondamentali del film è la speranza di un futuro migliore, radioso, in cui le aspirazioni di un uomo possano compiersi. E chi meglio di due eterni sognatori come Charlot e la Monella avrebbe potuto esprimere questo ideale?
Ma come nasce questo profondo legame tra il Vagabondo e la Monella?

Come nelle più belle storie d’amore, nasce per caso. Dopo essere stato rilasciato dal carcere per buona condotta, Charlot si renderà conto che la vita fuori dalla prigione è fin troppo dura da affrontare, e tenterà quindi di farsi arrestare di nuovo. Improvvisamente verrà travolto da una giovane in fuga dopo aver rubato del pane e, riconoscendo l’occasione perfetta sia per togliere la Monella dai guai sia per tornare nel penitenziario e avere così un alloggio e del cibo gratis, il Vagabondo si assumerà la colpa del furto.
Da quel momento i due diventeranno inseparabili.
Insieme affronteranno le intemperie della vita senza mai perdere il loro ottimismo e la loro voglia di evasione da un mondo grigio e crudele. Il Vagabondo e la Monella sono due anime affini, due sognatori, il cui unico desiderio è trascorrere la vita insieme. Il finale, sebbene non fosse nei programmi di Chaplin all’inizio delle riprese è quanto più incline al desiderio di Charlot. Difatti, dopo l’esibizione del Vagabondo nella famosa “Titina”, in cui Chaplin donò finalmente una voce al suo personaggio, volle, come a conclusione di un’era, porre un riferimento piuttosto evidente al suo passato da artista di music-hall. E infatti proprio come in un vero e proprio numero di cabaret, si sente a proprio agio sul palco, esibendosi fra gli applausi incessanti del pubblico.

La libertà coniugata con il bisogno di essere apprezzato come uomo, come artista, pone un’allusione all’esistenza di ogni uomo e al suo bisogno di essere libero di scegliere il proprio destino. E così Charlot, eterno Vagabondo, assieme alla Monella, oltrepassa il confine del sogno, vivendo con la speranza che il futuro possa ancora essere scritto.
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