La recensione de “La fiera delle Illusioni – Nightmare Alley”, il nuovo film di Guillermo del Toro.

Tutto nacque tra il 1936 e il 1939. Durante quegli anni la Spagna era dilaniata da quella Guerra Civile che portò all’instaurazione della dittatura di Francisco Franco. Tra l’esercito dei repubblicani, coloro che si opponevano all’insorgere della tirannia, vi era un giovane soldato di Baltimora che casualmente sentì un suo compagno di armi narrare una storia, tanto incredibile quanto macabra, i cui protagonisti erano mangiatori di bestie, spiritualisti, veggenti e imbonitori.
Da tale racconto, che il soldato spagnolo giurò essere vero, William Lindsay Gresham trasse ispirazione per scrivere “Nightmare Alley”. Un romanzo che sette anni più tardi (nel 1946) non solo divenne un classico della letteratura noir, ma riscrisse totalmente i canoni del genere.
Difatti, non passò molto tempo prima che qualcuno si accorgesse del potenziale della storia di Gresham. E appena un anno dopo, Edmund Goulding (già regista di “Grand Hotel”) girò l’adattamento cinematografico, dal titolo “La Fiera delle Illusioni”, con protagonista Tyron Power. La pellicola sicuramente non deluse le aspettative.
Non fosse per il finale edulcorato difatti, Goulding riuscì a cogliere appieno l’anima del romanzo di W.L. Gresham.

Tuttavia, dopo quasi 75 anni dal primo adattamento, era giunta l’ora che qualcuno si facesse carico dell’eredità lasciata da Gresham e da Goulding ed offrisse un ritratto tanto moderno quanto retro’ dell’opera dello scrittore di Baltimora. E chi, se non Guillermo del Toro, avrebbe potuto rendere giustizia ad un’opera tanto tetra quanto tormentata? Chi, se non il regista messicano, avrebbe potuto alternare le atmosfere freak di un circo itinerante, negli anni tra le due Guerre, alle lussuose sale di intrattenimento frequentate dall’alta società?
Del Toro ci trascina così ne “La fiera delle Illusioni – Nightmare Alley”, una pellicola capace di rievocare le atmosfere che si respiravano nella storia di Gresham creando una fiaba tanto profonda quanto personale.
Anche se non ci sono misteriose creature anfibie come ne “La forma dell’acqua”, o mostruosi esseri mitologici come ne “Il labirinto del Fauno” o “Hellboy”, “La fiera delle Illusioni – Nightmare Alley” è una storia estremamente deltoriana (passatemi il termine). Una favola oscura quanto magica che comincia mostrandoci il fardello con cui Stanton Carlisle (Bradley Cooper), è condannato a rivivere come un incubo. Un lutto che si è consumato tra le fiamme e che accompagnerà Stan lungo la sua scalata al potere, mettendo in scena, fin dal primo fotogramma, l’anima nera del protagonista. Del Toro ci rende partecipi del passato di Stan, che nel corso degli anni tornerà perennemente ad angosciarlo. E sarà proprio il terrore provocato dai suoi trascorsi che lo spingerà a sfruttare il dolore dei “gonzi” per far breccia nelle loro labili menti.

E prosegue raccontando la dura realtà dei freak, costretti a vivere spostandosi di città in città ma godendosi il calore della famiglia circense, in un’ambientazione tanto maliarda da ricordare quella “Forma dell’acqua” che valse a del Toro il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia.
Ma sarà nella seconda parte del film, quella in cui alla polvere dei tendoni, al fango nelle scarpe e alle giostre itineranti si sostituiranno saloni signorili e fastose camere d’albergo, che Stan dovrà fare i conti con l’incubo che da una vita lo tormenta.
Pur rinunciando, per la prima volta nella sua carriera da regista, all’elemento soprannaturale, il regista Premio Oscar riesce a creare un’ambientazione estremamente realistica ma suggestiva. Avvalendosi di una colonna sonora avvolgente e di una fotografia tanto gotica quanto eterea, del Toro ha dato vita ad un’opera che si differenzia dai suoi precedenti lavori. Senza però rinunciare all’estetica, alla cura per i particolari e alla sensibilità che lo hanno sempre contraddistinto.

Il risultato è un noir psicologico, ambientato nell’occulto mondo delle menzogne e del misticismo, in cui i veri mostri sono i fantasmi del passato che ogni personaggio, in particolare Stan, è obbligato ad affrontare ogni giorno.
Una nota di merito va decisamente agli interpreti. Bradley Cooper, che forse sfodera la miglior performance della sua carriera, assieme a Cate Blanchett, che dimostra nuovamente perché in molti la ritengano una delle attrici più brave di sempre, diventano architetti di un tragico inganno che coinvolgerà anche la pura e innocente Molly, interpretata da Rooney Mara che, per fortuna, riesce a donare al suo personaggio quel carattere che mancava alla Molly del romanzo di Gresham.
Grazie al suo estro, pur prendendosi le dovute libertà, del Toro riesce quindi a rendere giustizia e a rendere attuale una storia che, nel suo anno di uscita, dal popolo americano era stata letta come un’aspra critica sociale al capitalismo dell’epoca. Ma soprattutto, del Toro pone il punto interrogativo su una questione che lo ha ossessionato per tutta la durata della sua carriera da regista, come si evince chiaramente dalla sua filmografia: cosa rende l’essere umano un mostro?

E, come nel “Frankenstein” di James Whale, la risposta non potrebbe essere più semplice. Difatti “La fiera delle Illusioni – Nightmare Alley” ha il grande pregio di mostrare l’umanità di coloro che vengono etichettati come “mostri”, ossia i freaky. Il messaggio di del Toro appare quindi piuttosto chiaro. Non è l’aspetto a fare dell’essere umano un mostro, ma il modo in cui sceglie di agire.
In conclusione, “La fiera delle Illusioni – Nightmare Alley” è un film semplicemente meraviglioso, capace di scavare nell’anima (mostruosa o umana) di ogni personaggio.

Del Toro, che ha fatto dell’estetica uno dei tratti caratteristici della sua espressione, si conferma come uno dei migliori registi contemporanei. Il regista Premio Oscar difatti è riuscito nel difficile compito di adattare un’opera complessa come “Nightmare Alley” al suo stile autoriale.
Tuttavia, la pellicola del regista messicano, seppur risultando un prodotto di ottima fattura, non è priva di difetti. Difatti, nell’arco delle due ore e mezzo (durata decisamente eccessiva), il personaggio della dottoressa Lilith Ritter (Cate Blanchett) avrebbe meritato un maggiore approfondimento. Inoltre, il finale, nonostante sia pregno del profondo significato che del Toro (e l’autore del libro) desiderava comunicare al pubblico, risulta essere troppo sbrigativo. L’inquadratura finale, quel primo piano sul volto sporco e barbuto di Bradley Cooper e senza dubbio di forte impatto, tuttavia non avrebbe guastato mostrare in maniera più esaustiva il lento declino a cui il Grande Stanton andrà incontro.

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Siamo AlexMadoka (Alessia) e il Signor Nessuno (Andrea), fondatori di Elementocreativo.it, due ragazzi convinti che la creatività sia il bene supremo della vita. Nostalgici per natura, apparteniamo ai favolosi anni ’80, epoca di grandi film e successi musicali. Viviamo di cinema, musica e letteratura, in pratica ci nutriamo di tutto quello che si può considerare arte e mistero… sognando un giorno di poter approdare sull’Isola che non c’è in groppa a Falcor il Fortunadrago.
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