“Jurassic Park”, pubblicato nel 1990, è il romanzo che ha reso celebre lo scrittore americano Michael Crichton.
Nel 1912, Sir Arthur Conan Doyle, già autore del ciclo di Sherlock Holmes, creò un mondo immaginario in cui i dinosauri e le antiche civiltà che dominavano la preistoria erano sopravvissute all’estinzione, in un ecosistema isolato dal resto del mondo. Pubblicato in Italia un anno più tardi, “Il mondo perduto” diede inizio ad un filone di romanzi fantascientifici che parlavano di terre dimenticate, creature estinte e popoli primitivi.

Quella del mondo perduto è una tematica che, nel corso dei decenni, ha colto l’interesse di molti celebri scrittori. Da Jules Verne, che ha trattato tale argomento nel suo romanzo “Viaggio al centro della Terra”, a Edgar Rice Burroughs con i romanzi del “Ciclo di Pellucidar”, fino ad arrivare al moderno Michael Crichton.

Quest’ultimo, divenuto celebre grazie al romanzo apocalittico “Andromeda”, negli anni ’90 pubblicò due opere che omaggiavano il lavoro dei pionieri del genere fantascientifico. La prima di esse fu “Jurassic Park”. Crichton utilizzò gli sapetti filosofici della teoria del caos per raccontare la storia del disastroso esperimento di John Hammond, un eccentrico miliardario convinto di poter riportare in vita i dinosauri e di usarli come attrazione in una riserva biologica. Una sperimentazione che finirà nel peggiore dei modi quando Alan Grant, paleontologo di fama internazionale, Ian Malcolm, matematico specializzato nella teoria del caos, e Ellie Sattler, aspirante paleobotanica al servizio di Grant, arriveranno al Jurassic Park per avallare il parco creato da Hammond.

Il romanzo dell’autore di Chicago, scomparso prematuramente nel 2008 (lasciando numerose opere postume), trascina il lettore in una terra persa nel tempo. Una terra caratterizzata da panorami di un’altra epoca e dominata da creature tanto affascinanti quanto spaventose. Grazie al suo estro, Crichton è riuscito a creare un’opera (probabilmente la più celebre) che unisce il gusto per l’avventura e per la suspense ad una forte critica rivolta alle compagnie di ingegneria genetica il cui unico scopo è quello di utilizzare le sperimentazioni esclusivamente per i propri interessi commerciali, una tematica ricorrente nelle opere di Crichton.
Lo scrittore infatti affronterà nuovamente l’argomento in romanzi come “Preda”, “Next”, “Micro” e, ovviamente, nel secondo capitolo di “Jurassic Park”, “Il mondo perduto”.
Lo stile asciutto e scorrevole di “Jurassic Park”, tipico del romanziere statunitense, riesce a coinvolgere il lettore, che si trova improvvisamente catapultato in una storia dal forte contenuto ansiogeno, sospesa tra il presente e un passato ormai remoto, capace di ispirare il famoso sci-fi di Steven Spielberg.

Complice un’introduzione che dietro alle velate tinte horror nasconde il presagio di un disastro imminente, Crichton ha contornato la sua storia di dettagli e informazioni scientifiche funzionali alla trama, il cui ritmo incalzante non risente delle accuratezze riguardanti la biotecnologia. Anzi, è proprio la precisione con cui vengono illustrate le procedure sperimentali che portano il lettore a chiedersi se non sia veramente possibile sfruttare simili espedienti per riportare in vita una specie estinta. Inoltre, una simile immersione nel campo della biotecnologia dona maggiore spazio a quei personaggi che nella pellicola di Spielberg erano stati ridotti a semplici comparse come il capo ingegnere del parco Ray Arnold (Samuel L. Jackson), il dottor Henry Wu (BD Wong) e, soprattutto, l’avvocato Donald Gennaro (Martin Ferrero), che nell’opera di Crichton risulta molto meno fiacco rispetto al personaggio del film.
In conclusione, il “Jurassic Park” di Michael Crichton (edito in Italia da Garzanti) è un’opera da leggere tutta d’un fiato.
Un romanzo che riesce a mescolare magistralmente la caratterizzazione dei protagonisti ad una vicenda tanto fantasiosa quanto, almeno all’apparenza, realistica. In un crescendo di adrenalina, tradimenti e incontri con mitiche creature di un’altra epoca, lo scrittore è riuscito a rendere un giusto tributo alle opere classiche senza rinunciare a quel tocco di modernità che lo ha sempre contraddistinto. Il risultato è una storia del tutto originale che strizza l’occhio alle avventure descritte (quasi un secolo prima) da Sir Arthur Conan Doyle.
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Cresciuto a pane e cinema, scrive i suoi articoli scegliendo parole a caso lanciando una moneta. Il suo più grande sogno è quello di gustarsi un hamburger al Big Kahuna Burger, farsi tagliare la barba da Sweeney Todd per poi godersi un tranquillo soggiorno all’Overlook Hotel. Gli piace fare a pugni, sfondare le vetrate, mangiare lampadine e sfidare i pescecani, e adora andare a spasso con Daisy guidando il taxi di Travis Bickle e concludere la giornata dicendo “sono un tantino stanco, credo che tornerò a casa”.