Una favola ambientata nella Belfast di fine anni ’60. Gli orrori degli scontri e della violenza raccontati attraverso gli occhi di un bambino.

Il 6 dicembre del 1921, dopo la conclusione dell’Irish War of Indipendence, gli esponenti del governo britannico e dell’Esercito repubblicano irlandese firmarono il trattato Anglo-Irlandese. Così venne sancita la definitiva indipendenza dello Stato Libero d’Irlanda.
Successivamente a questa data che entrò nella storia, in Irlanda si svilupparono delle tensioni interne che flagellarono la neonata repubblica. Sin dal 1922, forti del sostegno dell’Ulster Unionist Party (UUP), il partito protestante che vantava la maggioranza in parlamento, i cittadini irlandesi si accanirono contro i loro compatrioti di fede cattolica. Quest’ultimi subirono per decenni aggressioni e discriminazioni, fino al 24 agosto del 1966. In questa data, attraverso una pacifica manifestazione, annunciarono la nascita della Northern Ireland Civil Rights Association (NICRA), un’associazione che si era prefissata di riformare il sistema politico vigente.

La fondazione della NICRA non fece altro che inasprire ancor di più il rancore dei protestanti che, fino a quel momento, avevano goduto di numerosi vantaggi. Le conseguenze furono altamente dannose poiché le rappresaglie aumentarono vertiginosamente. Ogni quartiere, esercizio o abitazione che ospitasse un credente di fede cattolica venne saccheggiato o distrutto. Tali atti di violenza furono la causa della grande migrazione che portò i cittadini Irlandesi a trasferirsi in paesi come l’America, l’Inghilterra e l’Australia.
Facendo appello ai suoi ricordi di infanzia, Kenneth Branagh ha deciso di rievocare il Conflitto Nordirlandese.
Il tutto viene narrato attraverso gli occhi di Buddy, un ragazzino, nonché suo alter ego, cresciuto in quel di Belfast in un quartiere che ospita sia famiglie protestanti che cattoliche. Così Sir Kenneth firma il suo film più intimo e personale. Una pellicola che si distacca dalla solita estetica del regista, assumendo la forma di un’opera strettamente autoriale.

I movimenti di ripresa, sono infatti strettamente legati alle emozioni di ogni singolo personaggio, senza mai invadere, anzi. Divengono protagonisti della narrazione, sin dal primo fotogramma in cui, grazie all’abile uso del comparto sonoro, percepiamo la tensione attraverso la paura del piccolo Buddy. Con l’ausilio di inquadrature e movimenti di macchina, Branagh tenta e riesce a catturare l’anima di ogni singolo membro della famiglia, alternando in maniera sublime angoscianti momenti di ostilità ad attimi di spensierata felicità.
Quella felicità che, i genitori del piccolo Buddy, hanno tentato in tutti i modi di preservare al loro figlio più piccolo. Il conflitto tra cattolici e protestanti funge solo da sfondo a “Belfast”, invece di esserne il protagonista. I fatti di cronaca ci vengono presentati solo in maniera velata, quasi a proteggere non solo Buddy, ma anche noi spettatori, con frammenti di notizie spezzati dall’immediato intervento di Madre (Caitriona Balfe). Il cardine, invece, è la famiglia, e l’importanza che essa ha su ogni singolo. Difatti Branagh, qui riesce benissimo nel suo intento. La famiglia ha un ruolo di primo piano, tanto da elevare l’affetto che lega Buddy ai suoi nonni a un livello di forte empatia.

Lo spettatore nutre infatti la speranza che i nonni di Buddy, Ciarán Hinds e Judi Dench, entrambi in stato di grazia, non solo non subiscano le conseguenze del conflitto, ma che non gli succeda alcunché.
Diretto in un bianco e nero tanto lucente quanto sublime e avvolto dalla fotografia di Haris Zambarloukos, che incornicia la provincia irlandese come fosse un dipinto, “Belfast” ci trasporta in un’atmosfera fiabesca narrandoci la favola del piccolo Buddy (o piccolo Branagh). La storia è quella di una famiglia protestante che, in disaccordo con le persecuzioni portate avanti contro i fedeli cattolici, si troverà a prendere in considerazione l’idea di allontanarsi dalla loro città per trasferirsi in un paese straniero.

Forte di un comparto tecnico che rasenta la perfezione, con sequenze che confermano quanto la regia di Branagh possa essere stimolante, la pellicola risulta meno efficace a livello di sceneggiatura. Difatti, per quanto la trama di “Belfast” si concentri principalmente sulle emozioni dei protagonisti, troppo spesso il loro approfondimento emotivo rimane in superficie. Se di alcuni personaggi possiamo percepire ogni stato d’animo, altri rimangono avvolti nell’ombra, complice anche una messa in scena che risente della durata ridotta.
Un fattore, quello della durata, che penalizza anche lo sviluppo del conflitto che appare a tratti ingiustificato e a tratti non contestualizzato. Per uno spettatore meno informato, ignaro delle motivazioni che si celano dietro al dissidio, sarebbe lecito chiedersi il perché nel quartiere di Buddy si sviluppi una simile intolleranza verso i cittadini di fede cattolica. Inoltre, i rapporti che legano alcuni militanti attivisti al padre di Buddy vengono lasciati in sospeso, senza specificare il perché tra loro avvengano specifici scambi di opinione. Il tutto viene lasciato all’immaginazione dello spettatore.
Da una parte l’immaginazione ha una funzione prettamente cognitiva, e niente affatto necessaria al fine dello svolgimento e del senso della trama. Dall’altra, tale immaginazione, è invece soggetta ad approfondimento la fantasia del piccolo Buddy, intesa, come elogio al cinema.

Un elogio che Branagh, ha desiderato comunicare a noi spettatori, al fine di descrivere il cinema, sotto forma di colori e fotogrammi ad esso dedicati, come un rifugio dai conflitti che attanagliavano Belfast e il mondo intorno a lui, e quindi a Buddy.
Ricordiamo “Nuovo Cinema Paradiso” e il sottotesto che esprime la meraviglia del piccolo Salvatore paragonata a Buddy, nel mentre, assieme alla sua famiglia, è felice di guardare “Citty Citty Bang Bang”.
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Siamo AlexMadoka (Alessia) e il Signor Nessuno (Andrea), fondatori di Elementocreativo.it, due ragazzi convinti che la creatività sia il bene supremo della vita. Nostalgici per natura, apparteniamo ai favolosi anni ’80, epoca di grandi film e successi musicali. Viviamo di cinema, musica e letteratura, in pratica ci nutriamo di tutto quello che si può considerare arte e mistero… sognando un giorno di poter approdare sull’Isola che non c’è in groppa a Falcor il Fortunadrago.